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1998-2008. Gli estremi cronologici, come sempre, sono approssimativi e convenzionali ma è pressapoco lungo quel decennio che una vera e propria “italian ska invasion” ha contribuito a modellare il panorama musicale nostrano. Italian ska invasion, non a caso, è il titolo di una prima fortunata compilation (una produzione Lilium/Sony BMG) che nel 1998 attestava lo stato dell’arte della scena ska italiana e, allo stesso tempo, seguiva l’onda di un interesse crescente - che sarebbe durato un decennio, appunto - verso la musica nata in Jamaica. Tra 1998 e 1999 Giuliano Palma & the Bluebeaters realizzavano i primi trionfali tour che sarebbero sfociati nel The Album del 2000; nel 1998 usciva Cheope dei Vallanzaska, Uccidiamo il chiaro di luna dei Fahrenheit 451, In mezzo ai guai degli Arpioni, Bassin’core dei Bassistinti; nel 1999 Vivo degli Stiliti, Passi se è la prassi dei Matrioska. Uscivano dalle cantine e dalle loro sperdute provincie gruppi come Rimozionekoatta, Harddiskaunt, I Quattrocentocolpi. Molte furono le filiazioni e i nuovi progetti che proliferarono negli anni immediatamente successivi: Ska-j, Orobians, Askers, Roy Paci & Aretuska, Skarabazoo, Franziska, Catwalk,. Si potrebbe continuare ancora per molto, ma mi fermo ad alcuni nomi soltanto, forse i principali, che hanno marcato una stagione di musica ska in Italia. Nel 1998, non bisogna dimenticarlo, nasceva anche skabadip.com il primo portale italiano totalmente dedicato alla musica in levare, il quale permise di diffondere una cultura musicale ancora considerata di nicchia e marginale.

Certo, la storia dello ska italiano comincia ben prima di quell’agitato 1998. Prima di allora erano attive band - alcune delle quali lo sono tutt’ora - che hanno largamente anticipato la “italian ska invasion”, che la accompagneranno a braccetto lungo tutto il decennio e che la supereranno indenni. Come non citare gli Statuto, i padrini dello ska italiano, saldamente radicati nel tessuto musicale torinese dal 1983. O i Persiana Jones, i Casino Royale, i Fratelli di Soledad. Tuttavia, è proprio nel corso di quel decennio che ska e rocksteady (spesso accompagnati da più o meno fortunati sotto-generi) coinvolsero e interessarono una miriade di gruppi in tutta Italia fino a imporsi quasi a paradigma di taluni eventi, festival e persino movimenti sociali. Una moltitudine di gruppi e di appassionati poteva ora affollare i concerti di band straniere e di vere e proprie icone viventi della storia musicale jamaicana che, nei loro tour, finalmente, toccavano anche le città italiane: Skatalites, Laurel Aitken, Desmond Dekker, Jimmy Cliff, ma anche New York Ska-Jazz Ensemble, Toasters, Slackers…

È possibile affermare, forse, che la Third wave of ska fosse arrivata in Italia con qualche anno di ritardo? Una Third wave che con le sue ibridazioni di 2 tone, punk, rocksteady, reggae si è riflessa anche nel nostro paese, generando e contaminando le nuove ska band che proliferavano sempre di più.

È stata un’invasione, è bene ricordare, che ha generato anche banalizzazioni, scadimenti, generalizzazioni, stereotipi; spesso si è giunti al parossismo o a uno smarrimento delle radici musicali e culturali che hanno dato vita a ska, rocksteady e reggae. Un appannamento che ha visto confondere quelle radici musicali con mode e atteggiamenti che le sono estranee, o che le ha viste ridicolizzare e manomettere con superficialità (chi ricorda, del resto, la parola d’ordine - quasi una professione d’identità - che all’epoca girava nei concerti di molti gruppi? “Lo ska non si poga, si balla”). Non si tratta di snobismo o di chiusura ghettizzante. I progetti più interessanti e duraturi, infatti, sono stati quelli che sono riusciti a reinterpretare ska e rocksteady, a contaminarli, a farli evolvere, a de-costruirli, anche, ma con consapevolezza e cognizione verso la loro storia (quali migliori esempi, in questo senso, dei citati Slackers, della “scuola” Bluebeaters  o della “scuola” New York Ska-Jazz Ensemble?).

L’ondata ska italiana è stata anche questo. Ma oggi, a distanza di anni, che cosa è rimasto? Oltre alle sigle delle pubblicità e ai jingle estivi (ecco ritornare un altro aspetto di quella banalizzazione a cui si è fatto cenno), quale eredità ci ha lasciato la “italian ska invasion”? Oggi, mentre qualcuno all’estero parla di un’imminente fourth wave of ska e mentre in Italia il ritorno dei Bluebeaters lascia ben sperare, è possibile parlarne serenamente, ricostruire la storia dello ska in Italia come un fenomeno musicale inserito in uno specifico contesto socio-culturale e liberarlo, anche, dall’immaginario più frivolo e banalizzante.

Italian Ska Foundation parlerà anche di questo, cercando di raccontare storie e vicende di ska, rocksteady ed early reggae e della loro ricezione in Italia. Italian Ska Foundation, soprattutto, è una ‘zine, che seguirà l’attualità della scena ska internazionale, convogliando notizie e tendendo l’orecchio a tutte le novità musicali.

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